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Cos’è l’Autofagia? Effetti e sintomi

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12 Novembre 2025 Autore: dott.ssa Anna Elisa Velardi

L’autofagia è il sistema di riciclaggio cellulare che permette alle cellule di eliminare proteine e organelli danneggiati, recuperando i componenti per produrre nuove molecole. Per mantenere la salute della pelle questo processo è di fondamentale importanza. Ciò fa sì che fibroblasti e cheratinociti si mantengano in salute, contrastando l’accumulo di detriti e sostenendo la sintesi del collagene. Con l’età e le esposizioni ambientali (inquinamento, radiazioni),  può risultare insufficiente e contribuire all’invecchiamento cutaneo. Viceversa, alcune abitudini (dieta, esercizio, sostanze naturali) e trattamenti estetici possono modulare l’autofagia per favorire una pelle giovane e tonica[1].

Introduzione

Nel contesto della medicina estetica e della dermatologia, l’autofagia (dal greco auto‑phagein, “mangiare se stessi”) è emersa come un meccanismo cruciale per comprendere il processo di invecchiamento cutaneo e per progettare interventi anti‑aging mirati. L’autofagia è una via catabolica evolutivamente conservata che rimuove e ricicla componenti cellulari danneggiati, preservando l’omeostasi e fornendo substrati per la biosintesi. Numerosi studi indicano che una ridotta autofagia è associata a malattie correlate all’età e a un accresciuto declino fisiologico, mentre l’attivazione di questo processo può prolungare la durata della vita in organismi modello[4].

La cute, in quanto organo più esteso del corpo e primo scudo contro l’ambiente, è particolarmente sensibile alle alterazioni dell’autofagia. Da un lato, i cheratinociti dell’epidermide ricorrono costantemente all’autofagia per eliminare organelli durante la corneificazione; dall’altro, le cellule longeve come melanociti, cellule di Merkel e ghiandole sudoripare dipendono da un’autofagia efficiente per mantenere le proprie funzioni nel tempo[1]. Inoltre, fattori estrinseci come radiazioni UV, inquinanti atmosferici e stress ossidativo possono alterare il flusso autofagico con conseguenze sulla produzione di collagene, sull’infiammazione e sulla comparsa di rughe.

Cos’è l’autofagia

L’autofagia è un processo intracellulare di auto‑digestione attraverso il quale la cellula degrada elementi citoplasmatici (proteine, lipidi, mitocondri, ribosomi, perossisomi e perfino microbi) per rispondere a stress metabolici o per mantenere l’omeostasi. Si distinguono tre forme principali: macroautofagia, microautofagiae autofagia mediata da chaperoni[4]. La macroautofagia, la più studiata e generalmente indicata con il termine autofagia, coinvolge la formazione di membrane a doppio strato (fagofori) che racchiudono il materiale da eliminare, generando strutture chiamate autofagosomi; questi si fondono con i lisosomi per formare autolisosomi nei quali avviene la degradazione e il riciclo dei componenti[4].

Il processo macroautofagico può essere suddiviso in cinque fasi: [1]

  • iniziazione, durante la quale i complessi proteici ULK‑Atg1 e PI3‑K determinano la formazione del sito di avvio; [2]
  • nucleazione, con la crescita del fagoforo; [3]
  • allungamento ed espansione, in cui la membrana ingloba gli organelli danneggiati; [4]
  • chiusura e fusione dell’autofagosoma con il lisosoma; [6]
  • degradazione del carico e recupero dei prodotti per la biosintesi[6].

La microautofagia, invece, comporta l’invaginazione (ripiegamento verso l’interno) diretta della membrana lisosomiale o endosomiale, mentre l’autofagia mediata da chaperoni prevede il riconoscimento di proteine citosoliche da parte di chaperoni (come hsc70) e la loro traslocazione attraverso LAMP2A[6].

Gli chaperoni sono proteine cellulari che assicurano il corretto ripiegamento tridimensionale di altre proteine, prevenendo aggregazioni e errori strutturali, e favorendone la stabilità o la riparazione in condizioni di stress.

Quali sono gli effetti dell’autofagia sull’organismo?

Cheratinociti, melanociti e appendici cutanee

La pelle è composta da tre sezioni principali (epidermide, derma e ipoderma) e da appendici come peli, ghiandole sebacee e sudoripare. L’autofagia contribuisce in modo differenziato alla funzione di ciascun compartimento.

Nell’epidermide, l’autofagia è costitutivamente attiva durante la corneificazione dei cheratinociti, favorendo la rimozione di organelli e la produzione di corpi lamellari necessari per la barriera cutanea[1]. L’inibizione sperimentale dell’autofagia in condizioni basali è generalmente tollerata dalle cellule epidermiche a rapida sostituzione, ma induce una maggiore suscettibilità allo stress ambientale e alle infezioni.

Le cellule a vita più lunga, come melanociti, cellule di Merkel e cellule secretorie delle ghiandole sudoripare, dipendono invece dall’autofagia per mantenere l’omeostasi e la funzionalità: la riduzione dell’autofagia in questi compartimenti è associata ad accumulo di detriti, disfunzione mitocondriale e alterazioni secretorie che favoriscono l’invecchiamento[1]. Nel derma, l’autofagia contribuisce a mantenere la popolazione di fibroblasti e a preservare la qualità della matrice extracellulare (ECM), riducendo la senescenza cellulare e contrastando la degradazione delle fibre di collagene ed elastina[1].

Fibroblasti e invecchiamento intrinseco

I fibroblasti dermici sono i principali produttori di collagene, elastina e glicosaminoglicani. In uno studio comparativo su fibroblasti umani giovani e anziani, il professor Kim e colleghi hanno dimostrato che il numero di autofagosomi per unità di superficie citoplasmatica e la quantità del marcatore LC3‑II risultano simili nei due gruppi; tuttavia, nei fibroblasti anziani, l’aumento della produzione di scarti metabolici suggerisce che l’autofagia basale può essere insufficiente a mantenere la pulizia cellulare[2].

La trascrizione dei geni chiave dell’autofagia (BECN1, ATG5, ATG7, ULK1, PIK3C3 e mTOR) non differisce significativamente con l’età, ma la maggiore presenza di residui lipofuscinici e aggregati proteici negli anziani indica una compromissione del sistema di smaltimento[2]. Ciò suggerisce che l’invecchiamento non comporta necessariamente una riduzione dell’autofagia, bensì un mismatch tra carico di scarti e capacità degradativa.

Autofagia e inquinamento ambientale

Oltre all’invecchiamento cronologico, gli stress ambientali possono influenzare l’autofagia. In uno studio in vitro su fibroblasti dermici esposti a particelle di PM10, i ricercatori hanno osservato un’aumentata espressione di citochine pro‑infiammatorie (IL‑1β, IL‑6, IL‑8 e IL‑33), un incremento delle metalloproteinasi (MMP‑1 e MMP‑3) e una riduzione significativa dell’espressione di TGF‑β, collagene I ed elastina[3]. Inoltre, l’esposizione al particolato induceva un aumento del flusso autofagico, con evidenza microscopica di internalizzazione delle particelle negli autolisosomi[3].

Questo incremento potrebbe rappresentare un tentativo di riparare le lesioni indotte dal PM10; tuttavia, la concomitante diminuzione della sintesi di collagene suggerisce che l’autofagia, se “sovrastimolata” da stress ossidativi, non è sufficiente a evitare il danno strutturale. Gli autori concludono che l’inquinamento contribuisce all’invecchiamento della pelle attraverso infiammazione, degradazione della matrice e stress ossidativo, con l’autofagia che svolge un ruolo complesso di adattamento e, al contempo, di potenziale esaurimento[3].

Autofagia e collagene: interazioni e implicazioni estetiche

La degradazione e il riciclo di componenti intracellulari attraverso l’autofagia sono strettamente collegati alla sintesi e alla qualità del collagene. In condizioni fisiologiche, l’autofagia rimuove i mitocondri disfunzionali e i proteasomi saturi, permettendo ai fibroblasti di mantenere una produzione efficiente di collagene. La riduzione dell’autofagia, come avviene in molte patologie e con l’avanzare dell’età, può portare all’accumulo di proteine e residui lipofuscinici che interferiscono con l’assemblaggio delle fibre di collagene e con la secrezione di elastina[2].

Autofagia e stress ossidativo

Viceversa, un eccessivo ricorso all’autofagia sotto stress ossidativo può attivare vie pro‑cataboliche che degradano più collagene di quanto se ne sintetizzi, contribuendo alla perdita di volume e tono cutaneo. I dati dello studio sull’esposizione al particolato dimostrano che un aumento di autolisi si associa a un calo dell’espressione di TGF‑β e di geni codificanti il collagene di tipo I[3]. Per questo motivo, la modulazione terapeutica dell’autofagia mira a riequilibrare il flusso degradativo, evitando sia la stasi (che porta all’accumulo di scarti) sia l’iperattività (che impoverisce la matrice extracellulare).

Autofagia e salute della pelle

Da un punto di vista estetico, l’attivazione controllata dell’autofagia può favorire la rigenerazione dermica, poiché un turnover ottimale rimuove i componenti danneggiati e permette ai fibroblasti di produrre nuovo collagene e glicosaminoglicani. Alcuni trattamenti dermo‑estetici tradizionali, come il microneedling, i peeling chimici e le energie luminose frazionate, potrebbero attivare l’autofagia attraverso microdanni controllati, stimolando la riparazione tissutale.

Sebbene questa ipotesi sia ancora in fase di studio, diversi autori segnalano un aumento del turnover proteico e del rimodellamento collagene dopo tali procedure, suggerendo una possibile interazione con i meccanismi autofagici. La comprensione di questa interazione potrebbe guidare protocolli combinati (ad esempio filler + stimolatori dell’autofagia) per potenziare la sintesi di collagene e migliorare la longevità dei risultati estetici.

Autofagia e invecchiamento sistemico

Declino dell’autofagia con l’età

A livello sistemico, l’autofagia è considerata una via fondamentale per il mantenimento della proteostasi e della salute metabolica. Diversi modelli animali (lieviti, nematodi, moscerini, roditori) hanno dimostrato che l’induzione dell’autofagia estende la durata della vita, mentre la sua soppressione accelera l’invecchiamento [4].

Lo studio del dottor Lim e colleghi sottolinea che l’autofagia declina con l’età a causa di alterazioni dei regolatori a monte (mTORC1, AMPK) e di modificazioni post‑traslazionali che rallentano la formazione e l’allungamento del fagoforo[4][4]. Inoltre, la diminuzione dell’espressione di recettori e proteine dell’autofagia (come p62 e optineurina) e la riduzione delle trascrizioni di ATG2 e ATG9 contribuiscono a ridurre l’efficienza del flusso autofagico [4].

Autofagia come attivarla

L’interesse crescente per l’autofagia ha portato alla ricerca di interventi in grado di stimolare questo processo. Tra i più studiati vi sono le restrizioni caloriche e il digiuno intermittente, che riducono l’attività mTOR e attivano AMPK, favorendo l’inizio dell’autofagia. Anche l’esercizio fisico induce una moderata deprivazione energetica che stimola l’autofagia nel muscolo e, indirettamente, a livello sistemico.

In ambito nutraceutico, diversi composti naturali hanno dimostrato di attivare le vie regolatrici dell’autofagia. Il lavoro scientifico del professor Mundo Rivera et al. evidenzia che molecole come resveratrolo, quercetina, curcumina, spermidina, polifenoli del tè verde e oleuropeina agiscono modulando i pathway mTOR, FoxO1/3, AMPK e Sirt1, aumentando l’espressione di proteine chiave come Beclin‑1 e LC3 e riducendo il livello di p62, indice di una migliorata autophagic flux[6]. Questi composti sono oggetto di studi pre‑clinici e clinici per la prevenzione di malattie cardio‑vascolari, neurodegenerative e metaboliche legate all’età[6].

Tra gli stimolatori farmacologici sperimentali, la rapamicina (un inibitore di mTOR) e le calorie mimetiche come la metformina hanno mostrato efficacia nel potenziare l’autofagia e nel prolungare la vita negli animali; tuttavia, l’uso cronico di tali farmaci per fini estetici presenta rischi e non è attualmente raccomandato senza supervisione medica.

Implicazioni cliniche e approccio estetico integrato

Per l’area della medicina estetica, comprendere come modulare l’autofagia può fornire una nuova dimensione ai protocolli anti‑aging. Un’autofagia bilanciata supporta la vitalità dei fibroblasti, preserva il turnover del collagene e contribuisce a mantenere la pelle resiliente.

Interventi estetici che causano microdanni controllati (microneedling, laser frazionati, peeling) possono sfruttare la risposta autofagica per stimolare la rigenerazione dermica; abbinare questi trattamenti con una nutrizione ricca di composti autofagogeni e uno stile di vita sano (sonno adeguato, gestione dello stress) potrebbe amplificare i risultati e prolungarne la durata. È fondamentale, tuttavia, evitare strategie eccessive di stimolazione dell’autofagia: l’iper‑attivazione potrebbe ridurre eccessivamente la massa cellulare o interagire con processi infiammatori in corso.

Dal punto di vista diagnostico, biomarcatori come LC3, p62/SQSTM1 e Beclin‑1 potrebbero essere monitorati in futuro per valutare lo stato autofagico e personalizzare i trattamenti. È inoltre necessario considerare che alcune condizioni cutanee (psoriasi, vitiligine, infezioni) possono alterare l’autofagia e richiedere un approccio specifico. La ricerca continua a esplorare i confini tra modulazione dell’autofagia e altre vie cellulari (apoptosi, senescenza, mitofagia) per delineare protocolli efficaci e sicuri.

Conclusione

L’autofagia rappresenta un pilastro della salute cutanea e un potenziale bersaglio per la medicina estetica moderna. Benché la sua attività basale nei fibroblasti anziani non diminuisca drasticamente, l’aumento del carico di materiali danneggiati con l’età rende l’autofagia insufficiente a garantire un’omeostasi ottimale[2]. La ricerca mostra che alterazioni ambientali, come l’esposizione a particelle inquinanti, attivano l’autofagia ma simultaneamente degradano collagene e elastina, evidenziando la complessità del fenomeno[3].

Per sfruttare l’autofagia a fini estetici è necessario un approccio olistico che combini trattamenti ambulatoriali, nutraceutici e stili di vita che stimolino il giusto livello di auto‑rigenerazione. Compresi i meccanismi, le potenzialità e i limiti dell’autofagia, i professionisti della medicina estetica possono sviluppare protocolli personalizzati per prevenire e contrastare l’invecchiamento cutaneo, sostenendo la produzione di collagene e la vitalità della pelle.

Punti chiave riassuntivi

  • Autofagia come “spazzino cellulare”: è un processo evolutivo di riciclaggio che elimina componenti danneggiati e fornisce elementi costruttivi per la sintesi di nuove molecole.
  • Ruolo centrale nella pelle: nell’epidermide, l’autofagia è costitutiva per la corneificazione; nel derma mantiene la vitalità di melanociti, cellule di Merkel, ghiandole sudoripare e fibroblasti[1].
  • Invecchiamento intrinseco: nei fibroblasti anziani l’autofagia basale è simile a quella dei giovani, ma l’accumulo di rifiuti supera la capacità degradativa, contribuendo alla senescenza[2].
  • Stress ambientali: l’esposizione a PM10 aumenta l’autofagia ma riduce la sintesi di collagene ed elastina, favorendo l’invecchiamento cutaneo[3].
  • Declino sistemico: la riduzione dell’autofagia con l’età è legata all’inattivazione dei regolatori mTOR/AMPK e alla diminuzione di proteine ATG, ma l’induzione dell’autofagia prolunga la vita in diversi organismi[4].
  • Stimolatori naturali: digiuno intermittente, restrizione calorica, esercizio fisico e composti nutraceutici (resveratrolo, quercetina, curcumina, spermidina) attivano le vie mTOR, AMPK e FoxO, favorendo l’autofagia[6].
  • Approccio estetico integrato: combinare trattamenti che inducono microdanni controllati con supporto nutrizionale e stile di vita sano può ottimizzare la rigenerazione dermica e la sintesi di collagene.

Domande frequenti (FAQ)

Cos’è l’autofagia e perché è importante per la pelle?L’autofagia è un processo cellulare di auto‑riciclaggio in cui organelli danneggiati e proteine difettose vengono degradati e riutilizzati. Nella pelle, mantiene la vitalità di cheratinociti e fibroblasti, previene l’accumulo di detriti e sostiene la produzione di collagene, contribuendo alla salute e all’elasticità cutanea[1].

L’autofagia diminuisce con l’età?Gli studi sui fibroblasti cutanei mostrano che il numero di autofagosomi non diminuisce necessariamente con l’età, ma l’aumento del carico di scarti rende l’autofagia meno efficiente, favorendo la senescenza cellulare[2]. A livello sistemico, regolatori come mTOR e AMPK subiscono modifiche che riducono l’attivazione dell’autofagia con l’invecchiamento[4].

Quali abitudini possono stimolare l’autofagia in modo sicuro?Un’alimentazione equilibrata con periodi di digiuno controllato, l’attività fisica regolare e l’assunzione di polifenoli (resveratrolo, quercetina, curcumina), spermidina e altre sostanze nutraceutiche possono attivare le vie mTOR/AMPK/FoxO e potenziare l’autofagia[6]. È consigliabile evitare eccessi e consultare un professionista prima di intraprendere regimi restrittivi o integratori.

Esistono trattamenti estetici che sfruttano l’autofagia?Alcune procedure come microneedling, laser frazionati e peeling chimici provocano microdanni controllati che attivano i meccanismi di riparazione, compresa l’autofagia, favorendo la rigenerazione e la sintesi di collagene. Tuttavia, la ricerca è ancora in corso e la combinazione con strategie nutrizionali potrebbe amplificare i risultati.

Stimolare l’autofagia può avere effetti negativi?Un’iper‑attivazione incontrollata dell’autofagia può portare a catabolismo eccessivo, riducendo la massa cellulare o alterando la produzione di collagene. Inoltre, alcune patologie cutanee (psoriasi, vitiligine) possono essere influenzate dalla modulazione dell’autofagia. Pertanto, è fondamentale personalizzare gli interventi e monitorare gli effetti insieme a professionisti qualificati.

Fonti

  • Eckhart L., Tschachler E., Gruber F.Autophagic Control of Skin Aging. Frontiers in Cell and Developmental Biology, 2019 https://doi.org/10.3390/cells13191611
  • Kim H.S., Park S.-Y., Moon S.H., et al.Autophagy in Human Skin Fibroblasts: Impact of Age. International Journal of Molecular Sciences, 2018; DOI: https://doi.org/10.3390/ijms19082254
  • Park S.-Y., Byun E.J., Lee J.D., Kim S.Air Pollution, Autophagy, and Skin Aging: Impact of Particulate Matter (PM10) on Human Dermal Fibroblasts. International Journal of Molecular Sciences, 2018 DOI: https://doi.org/10.3390/ijms19092727
  • Lim S.H.Y., Hansen M., Kumsta C.Molecular Mechanisms of Autophagy Decline during Aging. Cells, 2024 DOI: https://doi.org/10.3390/cells13161364
  • Naharro‑Rodriguez J., Bacci S., Hernandez‑Bule M.L., et al.Decoding Skin Aging: A Review of Mechanisms, Markers, and Modern Therapies.Cosmetics, 2025; DOI: https://doi.org/10.3390/cosmetics12040144
  • Mundo Rivera V.M., Tlacuahuac Juárez J.R., Murillo M.N., et al.Natural Autophagy Activators to Fight Age-Related Diseases.Cells, 2024. DOI: https://doi.org/10.3390/cells13191611

 

Disclaimer: Le informazioni fornite in questo articolo sono a scopo informativo e non sostituiscono il parere di un medico o di uno specialista. Prima di intraprendere qualsiasi modifica dietetica, integrativa o procedurale per modulare l’autofagia, si consiglia di consultare un professionista della salute qualificato.

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